lunedì 19 maggio 2014

Dai banchi di scuola alla cattedra

I miei primi anni da ‘prof’ li definirei ‘scioccanti’.

Non mi ero ancora scrollata di dosso l’odore dei banchi di scuola che mi sono ritrovata, più per un caso fortuito che per scelta, a osservare alunni da dietro una cattedra e con un registro in mano. Eppure non mi sembrava più lo stesso mondo… Certo, direte voi, il ruolo era decisamente cambiato. Giusto! Ma non era neanche questo: quello che non riuscivo a fare era immedesimarmi in quei ragazzi.

É ben noto quanto sia faticosa l’adolescenza, ci sono passata anch’io, ma quanto potesse essere dura e difficile la vita per alcuni ragazzi non lo avevo mai pensato, ovattata nel mio piccolo mondo di paese e preoccupata solo dalla versione di latino e dalla funzione di geometria analitica.
Mi sono bastati pochi anni d’insegnamento in alcuni istituti professionali per aprire gli occhi.

Studentesse, di appena quattordici anni, costrette a vivere in comunità, sotto l’ordinanza giudiziale, perché chi avrebbe dovuto proteggerle... avete capito, no?

Ho incontrato ragazzi assillati fino all’inverosimile dalle famiglie e altri lasciati a se stessi al punto che sarebbero venuti a scuola anche a Natale pur di stare dentro una stanza con un po’ di calore umano. In mezzo a questi estremi c’è il rischio di incontrare di tutto: droga, alcool, anoressia, bulimia, schizofrenia…

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